logo calabria straordinaria

47° MusicAma Calabria

Lo spettacolo tra i due mari

30 Novembre > 29 Dicembre 2024
Lamezia Terme e Catanzaro

banner 47mac produzionioriginali

banner 47mac musicadacamera

banner 47mac educational

Prezzi e condizioni di vendita di Biglietti

Il territorio che ospita gli eventi

L’abbazia benedettina di Santa Maria in Sant’Eufemia Vetere è sita in località Terravecchia nelle vicinanze di Lamezia Terme. Il toponimo deriva dalla dedicazione del sito a sant’Eufemia, vergine e martire di Calcedonia, che dà il nome al golfo e all’intera Piana. L’abbazia sembra aver sostituito una più antica comunità italogreca, la Hagia Euphemia di Neokastron e fu intitolata a Santa Maria e fondata da Roberto il Guiscardo, condottiero normanno degli Altavilla, che conquistò, con il fratello Ruggero, Calabria e Sicilia all’inizio dell’XI secolo. Nel 1059, con il Concordato di Melfi sancito con papa Nicola II, Roberto fu riconosciuto duca di Puglia e di Calabria e si impegnò nella politica di latinizzazione del Sud Italia fondando abbazie benedettine di rito latino. Il diploma di fondazione dell’abbazia di Sant’Eufemia risale al 1062 e il progetto fu affidato al monaco normanno Robert de Grandmesnil che ne divenne abate. L’abbazia ricevette in dotazione dai Normanni molti territori nella Piana di S. Eufemia e mantenne un ruolo egemone anche sotto gli Svevi, ritenuti legittimi eredi degli Altavilla. Federico II, nel 1239, riscattò dai possedimenti dell’abbazia il castello e metà della città di Nicastro, concedendo in cambio altre terre. Tra il 1275 e il 1279 l’abbazia cadde in mano dell’Ordine dei Cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme col benestare della Curia pontificia. Ciò era stato determinato dal coinvolgimento dell’Ordine nella guerra degli Svevi contro gli Angioini, per cui Carlo d’Angiò aveva restituito agli Ospitalieri l’abbazia ma non la città di Nicastro e il suo castello. Dopo il periodo della cattività avignonese (1309-1377), gli anni dello Scisma d’Occidente (1378-1417) e in seguito all’avvento degli Aragonesi a Napoli dal 1442, nel XVI secolo avvenne la confluenza del baliaggio di Sant’Eufemia in quello campano di Capua. Il terremoto del 1638 causò la distruzione del sito, il quale in seguito subì anche un impaludamento cui si diede rimedio solo negli anni Dieci e Venti del Novecento con la bonifica dell’intera Piana. Il complesso monastico fu realizzato secondo le disposizioni planimetriche occidentali: chiesa, chiostro con ambienti monastici e la torre della cinta muraria. La chiesa presenta un impianto icnografico a tre navate, con coro scalare, transetto emergente e tre absidi sporgenti ed è una derivazione della planimetria propria delle abbazie normanne di Cluny II e di Bernay. Dal punto di vista architettonico l’edificio lametino si situa quindi nel quadro dell’architettura romanica europea diffondendone i modi in tutto il Sud. Si determinò quindi una fusione di schemi oltremontani con la tradizione latina e paleocristiana mediterranea di ambito calabro-siculo che si compì anche nell’Abbazia di Mileto (1063-1070) e in quella della Matina presso S. Marco Argentano. Recenti scavi dell’area presbiteriale hanno consentito di registrare la presenza di una cripta al di sotto dell’abside maggiore, hanno portato alla luce, nella quota pavimentale tra i pilastri, la pavimentazione in marmo e un pannello in opus sectile descriventi motivi geometrici e, nel settore antistante l’altare, una grande rota con raggi caratterizzati da una ricca policromia. Sul livello superiore in cui si trovano le tre absidi semicircolari vi sono muri intonacati che presentano delle decorazioni affrescate che sono ancora da indagare approfonditamente come l’intero apparato decorativo.

Il castello di Nicastro sorge a circa 300 m s.l.m. su una rupe rocciosa isolata dai torrenti Canne e Niola, dominando l’intera città. L’edificio presenta un articolato palinsesto di stratificazioni la cui lettura permette di ricostruirne la storia. Esso è detto normanno-svevo anche se fu costruito su un preesistente nucleo bizantino (di cui non rimangono evidenze archeologiche) e ciò che possiamo ammirare oggi è il risultato delle successive trasformazioni angioine ed aragonesi. La parte alta, contenente le abitazioni dei feudatari e il Cassero, fu costruita dai Normanni nell’XI secolo sulla preesistente fortezza bizantina e a questa età si data anche la costruzione di una torre quadrangolare, il donjon, protetto da una cinta muraria. Alla fondazione del castello seguì quella dell’Abbazia benedettina di Santa Maria di Sant’Eufemia Vetere: Roberto il Guiscardo fece dei due edifici l’emblema del suo potere, attuando attraverso essi il controllo e la rilatinizzazione del territorio. Nel diploma di fondazione dell’Abbazia, del 1062, tra le concessioni fatte dai Normanni ai monaci benedettini c’era anche metà della città di Nicastro con relativo castello. Esso continuò ad avere un ruolo rilevante anche sotto gli Svevi: nel 1194 ospitò l’Imperatore Enrico VI Hoenstaufen e nel 1198 venne restaurato per ordine di Costanza d’Altavilla, durante la minorità di suo figlio Federico. Quando quest’ultimo divenne imperatore innalzò la città di Nicastro a centro amministrativo e militare e il castello venne sottratto ai monaci di S. Eufemia per essere inserito tra i castra extempta, fortificazioni poste sotto il controllo diretto della corona, in cui erano custodite le entrate demaniali del Regno. Nelle stanze del castello, tra il 1240 e il 1242, venne rinchiuso Enrico VII di Germania, il figlio ribelle dell’imperatore. In età sveva il castello assunse l’aspetto attuale, con la costruzione, nella parte interna dove si trova la bassa corte con le cisterne per la conservazione delle acque, della grande ala residenziale organizzata su due piani, della quale rimane un lungo salone con le basi di grossi pilastri quadrati; questa zona coincide esternamente col prospetto frontale rivolto a Sud che reca quattro feritoie. Altre strutture di età sveva sono: il mastio esagonale, che foderò il Mastio normanno; la cortina muraria, a cui vennero legate due torri; la torre circolare con base a scarpa situata allo spigolo sud-ovest con pianta interna esagonale; le due torrette sub-circolari situate sul prospetto; una torre semicircolare legata alla cortina laterale sud-est. Con la dominazione angioina, Carlo I d’Angiò, nel 1268, restituì il castello ai monaci benedettini di Sant’Eufemia e lo restaurò, intervenendo sull’ingresso, protetto dalle due torrette di epoca sveva, che fu dotato di un arco e di due porte a saracinesca. Nel 1442 iniziò la dominazione aragonese e la Contea di Nicastro passò a Marcantonio Caracciolo. A quest’epoca si riconduce la costruzione di due solidi bastioni a foderare il mastio di epoca sveva e il rinforzo del sistema di ingresso con la sovrapposizione di una grossa struttura a scarpa. A partire dalla metà del XVI sec. ha inizio una lunga fase di decastellamento e in un inventario del 1599 si registra la presenza di numerosi ambienti tra cui delle carceri, distinte tra carceri dell’inferno e carceri del paradiso, denominazione adottata in ragione del diverso trattamento riservato ai detenuti. Agli inizi del XVII secolo i Caracciolo vendettero ai d’Aquino il feudo di Nicastro e il castello, oltre ad ospitare le carceri, divenne loro residenza nell’ala inferiore. Ma nel 1609 la città fu colpita da una forte scossa di terremoto che provocò il crollo di un torrione. Con il terremoto il 1783 il castello divenne inagibile e fu abbandonato definitivamente ed il suolo esterno fu ceduto parte in enfiteusi, e parte utilizzato per la costruzione di abitazioni. Nicastro rimase sotto il dominio dei d’Aquino fino al 1799, anno in cui la Contea fu posta sotto sequestro. Alcuni anni dopo passò al Regio Demanio.

La Cattedrale di Nicastro è stata eretta ex novo dal Vescovo Tommaso Perrone tra 1640 e 1642 in seguito alla distruzione causata dal terremoto del 1638 di quella normanna, che era stata edificata nel 1100 ad opera della principessa normanna Eremburga, nipote del Guiscardo. La nuova Cattedrale è stata costruita utilizzando materiale lapideo proveniente dall’antico Duomo di cui sembra siano stati rimontati i pilastri. Da una perizia del Settecento si evince che essa era coperta da un soffitto piano, forse fatto eseguire dal vescovo Tonsi alla fine del Settecento. L’edificio è il risultato di molti rimaneggiamenti eseguiti tra il XIX e il XX secolo per mettere riparo ai danni prodotti dalle calamità naturali, per cui essa poco mantiene della originaria fisionomia seicentesca. Tali interventi sono stati eseguiti nel corso dell’ottavo quarto del XIX secolo su iniziativa di Mons. Nicola Berlingieri che rifece totalmente parte della cattedrale, mentre tra il 1888 e il 1902 il vescovo Valensise rinnovò la facciata. Gli ultimi interventi strutturali risalgono agli inizi del XX secolo e sono stati eseguiti su commissione del Mons. Giambro che fece riedificare la monumentale cupola e modificò la facciata facendo eliminare il rosone e la secentesca scalinata a ventaglio. Fu lui a conferire lo stile neoclassico che la contraddistingue ancora oggi. La facciata principale presenta tre settori: quello centrale ha la terminazione a timpano recante lo stemma di Mons. Giambro; quelli laterali terminano con un alto basamento su cui sono posti due busti che raffigurano i pontefici Marcello II e Innocenzo IX, entrambi ex vescovi della Diocesi di Nicastro; entro due nicchie sono poi i SS. Pietro e Paolo, titolari del Duomo. Il retro dell’edificio è caratterizzato dalla presenza della grande cupola con lanterna ottagonale e la seicentesca torre campanaria con una meridiana su un lato e il disco in pietra con numeri romani sull’altro. L’interno ha in parte mantenuto l’antico impianto seicentesco. Esso ha pianta a croce latina con profondo transetto e navate laterali separate dalla principale da due file di quattro archi a tutto sesto per lato, sorretti da pilastri su cui poggiano le coperture a botte. In fondo alla navata sinistra è collocata la Cappella del SS. Sacramento con altare in marmi policromi, opera tardo settecentesca di artigiani napoletani, e nella navata destra è si trova la Cappella del SS. Crocifisso con altare in marmo vedere di Calabria sormontato da un crocifisso del XII secolo, probabilmente recuperato dalle rovine della cattedrale normanna. A sinistra dell’ingresso, in una profonda nicchia, è alloggiato il grande fonte battesimale in marmo il cui coperchio ornato da fregi di ascendenza classicista. Sul catino della nicchia è un dipinto murale della Trinità di Francesco Colelli di Nicastro. Poco è rimasto dell’originale arredo interno e gli oggetto più importanti sono stati trasferiti nel Museo Diocesano. Sono conservati nel Duomo alcune sculture in argento e rame sbalzato di manifattura napoletana, un pulpito e i confessionali lignei, i sedili presbiteriani e, infine, la cantoria di gusto barocco con organo a cassone intagliato e dorato. Si tratta di opere realizzate tra il XVIII e il XIX secolo, su commissione dei vari vescovi che hanno retto la Diocesi.

La chiesa fu forse costruita sul preesistente Oratorio di Santa Caterina delle Grotte. Le fonti tacciono sulla data della sua fondazione, ma testimoniano che essa fu sede della Confraternita dell’Immacolata e che fu ampliata alla fine del XVI secolo con l’aggiunta di due cappelle laterali. La confraternita era stata fondata come Confraternita della Concezione nel terzo quarto del XVI secolo e tra i suoi iscritti comparivano Domenico e Felice Antonio Colelli, padre e fratello del pittore Francesco poi attivo nella decorazione settecentesca della chiesa. Dopo il terremoto del 1638, che danneggiò la chiesa, si procedette con un generale rifacimento che si protrasse fino alla fine del XVIII secolo con la costruzione della volta e della cupola interna. Alla seconda metà del secolo la direzione del cantiere fu affidata al capomastro Antonino Frangipane da Pizzo, insieme con altri mastri calabresi. Altro incarico fu conferito a Francesco Colelli a cui fu affidata l’esecuzione del ciclo pittorico con le Cinque Feste della Vergine realizzato probabilmente tra 1773 e 1780 e che oggi ha un aspetto molto diverso a causa di successivi lavori che hanno cancellato i riquadri colelliani. L’intervento di Frangipane, che forse aveva investito anche la decorazione a stucco, è stato completamente obliterato dalla veste decorativa successivamente approntata da Pietro Joele da Fiumefreddo, che fu lì attivo nel 1766 e il cui stemma sulla sommità dell’abside costituisce quasi la sua firma. Attualmente la volta è scandita da stucchi rococò e cornici mistilinee, che racchiudono tre riquadri affrescati con La presentazione di Gesù al tempio, l’Immacolata e La presentazione di Maria al tempio, e ricoprono la parte terminale alta delle lesene parietali, i punti tra le vele delle finestre e i lati mediani lunghi dei riquadri. La navata ha un semplice impianto ad aula presentando il presbiterio a terminazione rettilinea, coperto da calotta ellittica e due cappelle absidate sui lati. All’interno, addossati alle pareti laterali della navata, corrono gli stalli lignei, forse un tempo posti più in basso dove trovavano posto i congregati. Tra le opere presenti ancora oggi, sono pregevoli anche le statue lignee di S. Caterina d’Alessandria, del XIX secolo e due dell’Immacolata, rispettivamente del XVII e del XIX secolo. La facciata è di gusto neoclassico e fu dotata di un secondo campanile all’inizio del XIX secolo. Utilizzata nel 1809 come caserma per le truppe francesi, fu restituita alla Confraternita dai Borbone e fu riaperta al culto.

Partners

loghi istituzionali 47musicamacalabria tutti